Il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso – costruito nel 1898 nel periferico rione di San Sabba – venne dapprima utilizzato dall’occupatore nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 (Stalag 339). Verso la fine di ottobre, esso venne strutturato come Polizeihaftlager (Campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni razziati, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei.
Nel sottopassaggio, il primo stanzone posto alla sinistra di chi entra era chiamato “cella della morte”. Qui venivano stipati i prigionieri tradotti dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati ad essere uccisi e cremati nel giro di poche ore. Secondo testimonianze, spesso venivano a trovarsi assieme a cadaveri destinati alla cremazione.
ULTERIORI INFORMAZIONI:
La Risiera di San Sabba a Trieste, Monumento nazionale, come appare attualmente (foto Damjan Balbi)
P. Placido Cortese è stato ricordato dai Frati Minori conventuali della Slovenia e della Croazia il 29 ottobre 2014 a Trieste. Accompagnati dai confratelli italiani che operano in Via Giulia a Trieste e guidati dal provinciale sloveno P. Milan Kos, dall’ex provinciale croato P. Ljudevit Maračić e dall’assistente per l’Europa Centrale P. Miljenko Hontić, hanno visitato il “bunker” della Gestapo in Piazza Oberdan e la Risiera di San Sabba dove hanno ricordato P. Cortese con canti e preghiere nelle tre lingue.
Dalla Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis Servi Dei Placidi Cortese (Romae 2018, pp. 592-596) riprendiamo la seguente relazione, utile a comprendere il contesto storico nel quale si è consumata la detenzione di Padre Placido Cortese presso la sede della Gestapo a Trieste, la tortura, la morte e l’eliminazione del suo corpo nel forno crematorio della Risiera di San Sabba, l’unico campo di concentramento tedesco in Italia.
Situazione politica e militare nella diocesi di Trieste ai tempi del martirio del Servo di Dio P. Placido Cortese
L’occupazione nazista di Trieste (1943-45) rappresenta l’apice di un lungo periodo di lotte ideologiche, politiche ed etniche che nel corso del secondo conflitto mondiale, in special modo dopo l’occupazione germanica ed il pieno sviluppo dei movimenti di resistenza, assunse il carattere di una tale “lotta totalitaria, quale in poche altre regioni di Europa erasi sviluppata”, condotta “con metodi di sanguinarietà unici nella storia moderna. [Riferimento: ”Motivazione della sentenza del dott. Sergio Serbo, emessa il 22 febbraio 1975 nel procedimento penale istruttorio per i crimini commessi nel campo di detenzione nazista nella Risiera di Trieste, oggi Monumento nazionale. Vedi: ANED – Ricerche, San Sabba, Istruttoria e processo per il Lager della Risiera, IIª edizione, Edizioni Lint, Trieste 1995, Vol. II, p. 169 (in seguito: San Sabba)].
La situazione dopo il 1918
L’attuale territorio della diocesi di Trieste, abitato da popolazioni di lingua e cultura italiana e slovena, di fede cattolica, ma anche da altri gruppi etnici e religiosi (tedeschi, ebrei, croati, serbi e greci ortodossi, ecc.) fino alla fine della Prima Guerra Mondiale aveva fatto parte dell’impero austro-ungarico. Con l’occupazione militare italiana del 1918, l’annessione non solo della città di Trieste, ma di una vasta area a maggioranza slovena e croata nel 1920 (Trattato di Rapallo), e poi con l’avvento del regime fascista si ebbe un periodo di assimilazione etnica violenta che colpì anche la libertà della Chiesa, di repressione del pluralismo e del sistema politico democratico e di un grave malessere sociale.
Le azioni di resistenza della popolazione slovena e croata alla snazionalizzazione e la lotta contro la dittatura fascista dei rappresentanti dell’antifascismo sloveno ed italiano, variamente ispirati, vennero represse prima con la violenza squadristica, poi con le pesanti misure di polizia e le condanne del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, comprendenti pure diverse sentenze capitali, delle quali quattro eseguite nel 1930 a Basovizza e cinque nel 1941 a Opicina, nell’immediato retroterra di Trieste.
Lo smembramento della Slovenia
Dopo l’attacco delle forze dell’Asse del 6 aprile 1941, il regno jugoslavo venne smembrato ed il territorio del Banato della Drava, a nord, abitato dagli sloveni, la cui identità nazionale veniva oppressa dallo stesso stato jugoslavo, venne diviso tra Italia, Germania ed Ungheria. Gli occupanti nazisti diedero subito inizio ad un’opera di germanizzazione forzata con la proibizione della lingua slovena, il trasferimento in Serbia ed in Croazia di 60.000 abitanti, tra i quali quasi tutti i sacerdoti e gli intellettuali, la repressione molto violenta di qualsiasi atto di resistenza.
Nella zona di occupazione italiana venne invece creata la “Provincia di Lubiana”, a ridosso della provincia di Trieste, e fu scelta inizialmente una politica più morbida. Ma quando cominciò la resistenza armata partigiana che, monopolizzata dal Partito comunista teso ad attuare una rivoluzione sociale, in Slovenia ebbe anche le caratteristiche di una guerra civile molto cruenta, l’atteggiamento delle autorità italiane si fece molto duro tanto che su 336.000 abitanti della “Provincia di Lubiana” circa 25.000 vennero internati nei vari campi di concentramento italiani (circa 2.000 vi sono morti) e, a parte i caduti, 52 furono le esecuzioni capitali, 146 gli ostaggi fucilati e ben 1.569 persone sono state “passate per le armi” durante le varie offensive ed azioni di rappresaglia. [Riferimento: È nota al riguardo la corrispondenza tra il vescovo di Lublana mons. Gregorij Rožman e la Santa Sede; toccante il diario del cappellano militare italiano don Pietro Brignoli, Santa messa per i miei fucilati.]
Dati i legami etnici e la contiguità geografica tutto l’ambito territoriale abitato dagli sloveni o mistilingue, senza riguardo al confine anteriore al 1941, dunque anche il territorio di Trieste, in breve si trovò coinvolto in quella guerra che dopo l’attacco tedesco contro l’Unione Sovietica “divenne totale e diretta alla completa eliminazione degli avversari”, in quanto “il diritto internazionale ed anche le più elementari norme etiche vennero in quegli anni violate dai contendenti con impressionante frequenza ed anche le terre a nord dell’Adriatico vennero coinvolte in questa spirale di violenza” [Riferimento: Vedi la Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena sui rapporti italo-sloveni 1880-1956, pubblicata nel 2000.]
L’occupazione nazista
Dopo il crollo del regime fascista e l’intervento dell’esercito tedesco, il 10 settembre 1943 venne creata dalle forze di occupazione germaniche la Zona di operazioni del Litorale Adriatico che comprendeva le province di Trieste, Gorizia, Udine, Lubiana, Pola e Fiume, sottratte all’effettiva sovranità della Repubblica Sociale Italiana ed amministrate con estremo rigore dalle autorità naziste guidate dal Gauleiter Friedrich Rainer.
Alla lotta tra nazifascismo ed antifascismo ed alla guerra partigiana in quest’area strategicamente importante andavano infatti ad aggiungersi:
- la contesa per una nuova determinazione del confine postbellico tra Italia e Jugoslavia;
- lo sterminio degli ebrei;
- l’attuazione dei progetti rivoluzionari del movimento comunista, con lo spostarsi dei fronti, la concentrazione di forze anticomuniste della più diversa provenienza (elementi della RSI, formazioni locali quali la Guardia civica ed il Corpo nazionale di sicurezza sloveno, cetnici sloveni, cetnici serbi, milizie serbe di Ljotić, truppe cosacche, ecc.);
- la presenza di differenti gruppi di resistenza e di esponenti di diversi servizi segreti alleati;
- il timore tedesco di uno sbarco alleato in Istria per l’apertura di un nuovo fronte nel cuore dell’Europa.
La Risiera di San Sabba
Non a caso venne spostato dalla Polonia a Trieste l’Einsatzkommando Reinhard, speciale reparto della polizia di sicurezza nazista con compiti di repressione politica e militare e di eliminazione degli ebrei, guidato da noti criminali nazisti (quali il generale delle SS Odilo Globocnik, nativo di Trieste) e definito negli atti del processo di Norimberga “come una delle più mostruose creazioni ed uno dei più efficienti artefici del programma dettato dallo spirito persecutorio e folle della dirigenza nazista” [Riferimento: Sentenza istruttoria sulla Risiera, San Sabba, p. 175].
L’unità si era dotata di un forno crematorio, l’unico realizzato in Italia. Fu costruito nella stessa città di Trieste, all’interno del campo di concentramento della Risiera di San Sabba. In questo ambiente subirono detenzione 7.000-8.000 persone, delle quali non meno di 2.000 vennero massacrate e cremate, mentre le altre vi transitarono, dirette negli altri campi di internamento o di sterminio. Gli occupanti poterono “avvalersi della zelante collaborazione” degli organi dell’apparato preesistente di polizia e dell’amministrazione governativa italiana, in special modo dell’Ispettorato speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia (la cd. “Banda Collotti”, creata nel 1942), come pure delle varie milizie già menzionate. [Riferimento: Sentenza istruttoria sulla Risiera, San Sabba, p. 160]
La storia di quegli anni anche a Trieste è puntellata da esecuzioni di ostaggi (nella sola Trieste 51 impiccati in Via Ghega, 72 fucilati ad Opicina e diversi altri gruppi meno numerosi di vittime di rappresaglie), distruzioni di villaggi sloveni con uccisioni sommarie e deportazioni delle popolazioni, avvio verso i campi di sterminio di 700 ebrei triestini (ne sopravvissero una ventina), servizio coattivo di lavoro, ecc.
La Polizia tedesca
Se la Risiera era riservata alla concentrazione delle persone da indirizzare nei lager in Germania o in altre zone occupate e all’eliminazione fisica delle vittime designate, come pure di popolazioni inermi rastrellate nel corso di azioni punitive, le istruttorie contro i veri o supposti nemici del regime nazista venivano svolte dagli organi di polizia delle SS, a Trieste in particolare nella sede centrale della Polizia di Sicurezza e del Servizio di Sicurezza (Sicherheitspolizei – SIPO und Sicherheitsdienst – SD) e della sua IV sezione o Gestapo (Geheime Staatspolizei) in piazza Oberdan 4, ove avvenivano gli interrogatori, molto spesso accompagnati da inumane torture, e dove esisteva il cd. “bunker”, una serie di celle seminterrate riservate alla custodia temporanea degli interrogati o alla detenzione dei prigionieri più importanti, mentre il grosso degli inquisiti veniva ristretto nelle vicine carceri del Coroneo o in altri ambienti quali le carceri femminili “dei Gesuiti” (adiacenti alla chiesa di Santa Maria Maggiore), le celle di Via Tigor, la sede dell’Ispettorato (la “Villa Triste” di Via Bellosguardo e poi la caserma di Via Cologna), ecc.
Il palazzo sede della Gestapo in piazza Oberdan a Trieste (foto Aleš Brecelj).
Le salme di chi soccombeva nel corso degli interrogatori come pure di molti che erano stati anche formalmente condannati a morte o di ostaggi fucilati o impiccati altrove venivano perlopiù cremate nel forno della Risiera. Tra i compiti dell’Einsatzkommando Reinhard infatti rientrava anche “la soppressione delle salme di coloro che erano stati resi vittime di tali ordini e di tali pronunce di condanna, come pure di coloro che avevano subito esecuzione capitale in seguito a condanna degli organi di giustizia militare e campale. Compito, questo, svolto in esclusiva perché solo nella Risiera di San Sabba era in attività un forno crematorio”. [Riferimento: Sentenza istruttoria sulla Risiera, San Sabba, p. 156]
Sotterranei della sede della Gestapo in piazza Oberdan a Trieste, come si presentano attualmente (foto Damjan Balbi)
P. Placido Cortese nel “bunker” della Gestapo
Dalle testimonianze raccolte pare che tutti coloro che nell’autunno del 1944 erano stati arrestati dalla Gestapo con l’aiuto dell’agente del controspionaggio militare tedesco (Abwehr) Fritz Werdnik, cioè gli aderenti al gruppo guidato dal giornalista sloveno Jože Golec a Trieste, legato ai servizi informativi britannici, i suoi conoscenti o occasionali collaboratori, vennero interrogati in Piazza Oberdan dal sottoufficiale della Gestapo Friedrich Zimmer. Zimmer, designato a combattere “lo spionaggio inglese”, era noto per le sue maniere brutali e per la totale spoliazione dei beni degli inquisiti cui si dedicava. Nel piano del palazzo dove operava c’era una vera e propria “stanza delle torture” tristemente attrezzata [Riferimento: Dichiarazione scritta dell’esponente della Croce Rossa Slovena a Trieste Roman Pahor del 15 agosto 1945.].
Non tutti gli inquisiti di questo gruppo sono stati maltrattati durante gli interrogatori dello Zimmer. Grazie ad un’altra testimonianza invece sappiamo che nel “bunker della Gestapo”, tappezzato da materassi per attutire i suoni, gli aguzzini hanno bastonato a morte e perfino fucilato alcuni partigiani. Anche P. Cortese è stato ripetutamente bastonato e bestialmente torturato. [Riferimento: Dichiarazione del pittore Zoran Mušič al sottoscritto in data 28 dicembre 1982]
Non si è mai saputo di regolari sepolture delle vittime del “bunker”, pertanto è pienamente plausibile l’ipotesi della loro cremazione alla Risiera.
Ivo Jevnikar
Membro della Commissione storica nell’Inchiesta diocesana
per la Causa di beatificazione e canonizzazione
del Servo di Dio P. Placido Cortese