La famiglia Palumbo salvata da padre Placido Cortese

La famiglia Palumbo salvata da padre Placido Cortese
Fuga in Egitto

Giovanni Busi detto il Cariani (1485ca – 1547), Fuga in Egitto – Bergamo, Accademia Carrara

Il capitano Giuseppe Palumbo comandava, all’epoca, la compagnia dei Carabinieri di Este. Esternamente si manifestava in sintonia con l’autorità costituita, svolgendo le mansioni richieste. Nel segreto, in obbedienza alla sua coscienza e non potendo condividere l’ideologia abbracciata dal potere dominante, era in contatto con esponenti della Resistenza e operava per proteggere la vita delle persone. Importante e preziosa è stata l’intesa tra il capitano Palumbo e Padre Cortese. Da segnalare, inoltre, la collaborazione con il prof. Adolfo Zamboni, presidente del C. L. N. di Padova.

Gli era accanto la sposa Vittoria Chiaramonti, un felice matrimonio rallegrato dalla nascita del piccolo Carlo, che all’epoca dei fatti che raccontiamo, aveva tre anni. Più tardi, verranno alla luce altri due figli, i gemelli Giulio e Mario.

Il capitano Giuseppe Palumbo si è comportato da “giusto” in un momento particolarmente drammatico, quando occorreva scegliere “da che parte stare”. Il giusto disobbedisce a chi comanda di fare il male, perché obbedisce ad un ordine ben più alto, non pensando al proprio tornaconto personale, rischiando la vita. Il giusto lotta contro il male, non facendo mai il male.

 

Giuseppe Palumbo - Parma - Anni 60

Giuseppe Palumbo, Comandante Legione Carabinieri di Parma, metà anni ’60

Ma in questa storia, chi fu l’Angelo (espressiva la sua presenza nel dipinto del Cariani) che avvertì il capitano Palumbo del pericolo imminente? È stato Padre Placido Cortese, come si comprende leggendo la testimonianza a suo tempo lasciata da Vittoria Chiaramonti e l’intervista a Carlo Palumbo, realizzata di recente da Paolo Damosso. Il volto sereno di Padre Placido è rimasto nel ricordo della famiglia Palumbo, in particolare della signora Vittoria. Questa storia, che si svolge tra Padova, Este, Montagnana, bellissime cittadine con caratteristiche cinte murarie, poteva restare nascosta. Ma per circostanze provvidenziali è sfuggita all’oblio e oggi possiamo rileggerla per conservarne doverosa memoria.

Este

Este

Montagnana

Montagnana

Intra

Intra

È stato il volto mite e umanissimo di Padre Placido a innescare il recupero di una vicenda che merita di essere conosciuta.

La pagina del Messaggero di S. Antonio, marzo 2002

Seguiamo quanto scrisse Vittoria Chiaramonti Palumbo a Padre Tito Magnani, allora Vicepostulatore della causa di Padre Cortese:

Rapallo, 25 marzo 2002

Rev.mo Padre, nel Messaggero [di S. Antonio] di marzo di quest’anno – sono abbonata da molti anni – ho finalmente rivisto il volto di Padre Cortese! È una lunga storia che non ho mai dimenticata… Ai primi di giugno del 1944, a mezzanotte, un frate venne a Este per avvertire mio marito che sarebbero venuti da Venezia alle 8 per arrestarlo e probabilmente ucciderlo… Mi perdoni questa lunga lettera, ma mi ha fatto bene scriverla…

Vittoria Chiaramonti Palumbo

A questa lettera seguì la testimonianza scritta, raccolta e autenticata durante l’inchiesta diocesana svoltasi a Trieste sul martirio e le virtù del Servo di Dio Placido Cortese.

Testimonianza Vittoria Chiaramonti Palumbo
Testimonianza Vittoria Chiaramonti Palumbo

Di recente, la lettura di questa testimonianza ha suscitato il desiderio di conoscere qualcuno della famiglia Palumbo, per una testimonianza diretta sulla straordinaria vicenda di cui è stata protagonista assieme a Padre Placido.

Ed è stato così che, dopo alcune ricerche, abbiamo ritrovato il “piccolo Carlo”, ormai ottantenne, testimone privilegiato della nostra storia, il bambino fuggito in una notte di giugno del 1944, assieme ai suoi genitori. Un’esperienza molto toccante, questo ritrovamento, ed ora abbiamo un amico in più!

A causa della pandemia, l’incontro è stato solo virtuale, con i mezzi oggi a disposizione. Siamo quindi lieti di offrire a tutti l’intervista a Carlo Palumbo, realizzata da Paolo Damosso.

Carlo Palumbo Direttore de “La Notte”

Carlo Palumbo Direttore de “La Notte”

Carlo Palumbo

Carlo Palumbo riceve il vaccino anti-Covid, 2021

Come entra Padre Placido Cortese nella storia della sua famiglia?

Mio padre lo conosceva bene. C’è al riguardo una curiosità: il miglior amico d’infanzia di mio padre si chiamava Leonardo Cortese ed era un attore e regista. Non aveva nulla a che fare con il nostro frate ma questa omonimia, lo rendeva ancora più vicino e familiare ai suoi occhi.

Papà era un ufficiale dei carabinieri e dopo i fatti del 25 luglio e poi dell’8 settembre 1943 è rimasto al suo posto a Este, in provincia di Padova. All’inasprirsi del conflitto ha avuto immediatamente contatti con Padre Placido e con le forze che hanno dato vita alla Resistenza contro il nazifascismo.

Il ruolo che ha assunto nel tempo mio padre è stato quello di collaborare con Padre Cortese scambiando delle informazioni sui luoghi dove erano programmate delle retate nella sua zona. Di conseguenza, iniziarono a maturare dei sospetti nei suoi confronti dovuti al fatto che queste retate andavano sempre a vuoto, perché venivano avvertiti preventivamente i giovani che erano a rischio di rastrellamenti.

Ci fu un episodio che riguarda in particolare mia madre che aveva chiesto un colloquio con un colonnello dell’esercito a cui voleva chiedere il favore di non mettere mio zio Manlio, suo fratello, che era sotto le armi, nei plotoni di esecuzione. Il graduato si oppose a questa richiesta, ma mentre mia madre era in questo ufficio, il colonnello ricevette una telefonata e lei capì che stavano preparando una retata per il giorno dopo in un paese vicino ad Este. Dalla conversazione comprese che si trattava di una cittadina completamente avvolta da mura medioevali e intuì che si parlava del comune di Montagnana.

Allora si precipitò da Padre Cortese ad avvertirlo e con questo intervento, anche quel rastrellamento andò a vuoto, perché non trovarono nessun giovane in quel paese.

Dopo questo episodio i sospetti su mio padre aumentarono sempre di più, aveva anche aiutato degli aviatori inglesi a nascondersi e a passare con la Resistenza.

E arrivò il giorno in cui Padre Cortese lo avvertì che sarebbero venuti a prendere lui, mia madre e me. La nostra fine era già segnata e avevamo poche ore a disposizione. Padre Placido mise anche a disposizione un suo amico che in automobile ci accompagnò sul lago Maggiore, era il commendator Stocchetti. Tengo a sottolineare che quest’uomo non conosceva mio padre e rischiò la vita per accompagnarci. Arrivammo a Intra e fummo accolti dai padroni dell’albergo Leon d’Oro che ci ospitarono, rischiando a loro volta la vita.

Da lì era previsto che noi passassimo in Svizzera che era il luogo che garantiva la salvezza. Ma i rappresentanti della Resistenza cercarono di convincere mio padre a fermarsi perché avevano bisogno di una figura come la sua, un comandante del suo peso, come capitano dei carabinieri. E lo convinsero, ma a questo punto anche mia madre decise di rimanere al suo fianco. Io chiaramente, per ragioni di età non venni consultato e capii che per il momento dovevo rinunciare al cioccolato svizzero!

Si ricorda quei momenti anche se aveva pochi anni?

Certo! Li ricordo benissimo e mi è rimasto impresso l’attimo in cui mio padre mi disse: “D’ora in poi non ti puoi più chiamare Carlo Palumbo, ma devi chiamarti Carlo Mosconi, perché se tu riveli il nostro cognome autentico, veniamo uccisi tutti!”, e questa è una bella responsabilità per un bambino di tre anni.

Ed il ricordo mi è rimasto molto impresso perché ci fu un episodio in cui una camicia nera mi prese in braccio all’albergo dove abitavamo e mi chiese: “Come ti chiami?” e io risposi subito: “Carlo Mosconi”. Questo milite pensando di scherzare mi disse: “Ma no, mi stai dicendo una bugia… come ti chiami veramente?”. Io fui terrorizzato, scoppiai a piangere e scappai.

Anche un bambino piccolo può maturare in fretta in questa situazione?

Sicuramente. E per dimostrarlo aggiungo ancora che mia madre andava a trovare sua mamma che si era rifugiata a Como e prendeva il battello per attraversare il lago. Una sera, mentre lei tornava, ci fu un bombardamento sul lago e io e mio padre l’aspettavamo e, a dimostrazione di una maturazione che definirei “orribile” per la mia età, io chiesi a mio padre: “È possibile che la mamma muoia?” e lui cercò di rassicurarmi dicendo: “Speriamo di no!”.

Quindi suo padre ha aderito all’invito dei partigiani e ha collaborato con loro?

Non solo, ma si dovette camuffare con occhiali finti e baffi neri facendosi passare per un certo dottor Mosconi, cercando d’invecchiare nell’aspetto per mostrare più di una decina d’anni rispetto alla sua giovane età. Ed in questo modo siamo andati avanti fino alla Liberazione. Nelle ultime settimane ci ritrovammo ospiti in una villa che era di proprietà di un dirigente del Corriere della Sera ed era in un punto a metà tra la zona dei partigiani e quella dei nazifascisti, tanto che dovemmo scappare in mezzo alle fiamme, perché fu incendiata.

Ma il nome di Padre Placido Cortese è tornato nei vostri discorsi familiari, successivamente?

Molte volte ne abbiamo parlato ma non si avevano più notizie di lui. Non sapevamo come poter ringraziarlo. Era chiaro per tutti noi che eravamo vivi grazie a lui. Anche oggi che sono qui a parlare è solo grazie al fatto che tanti anni fa lui ci aiutò a scappare da Este. E di conseguenza anche i miei due fratelli gemelli, nati nel 1948, non sarebbero mai venuti al mondo.

Questa storia mette in luce anche l’eroismo di suo padre…

Devo dire che papà lo considerava un fatto normale. Lui anche dopo la guerra è rimasto in contatto con amici che avevano fatto i partigiani con lui, ma non si è mai considerato un eroe, al contrario riteneva di aver fatto solo il suo dovere di capitano dei carabinieri.

Comunque devo aggiungere che sono certo di aver visto anch’io Padre Cortese, pur non ricordandolo. Andavo spesso con i miei genitori alla Basilica del Santo a Padova dove i miei lo avranno sicuramente incontrato.

C’è ancora un ricordo che ha conservato come bambino che attraversa le sofferenze e i disastri della guerra?

Ne ho uno precisissimo. Ricordo che in mezzo ai festeggiamenti del 25 aprile 1945, quando tutte le persone erano felici e brindavano per la fine della guerra, anch’io ho preteso di avere il mio spazio e di poter risolvere un dubbio che portavo nel cuore, per cui ho chiesto a mio padre: “Posso tornare a chiamarmi Carlo Palumbo?”.

Quel bambino di nome Carlo, in quella domanda desidera ritrovare la sua identità, la spensieratezza della sua infanzia e la voglia di crescere in un Paese pacificato che desidera ripartire e ricostruirsi.Ora, passati molti anni, Carlo Palumbo si guarda indietro e tiene a sottolineare la cosa più importante.

Vedo nell’incontro tra papà e Padre Cortese una solidarietà e una fraternità disinteressata, fatta soltanto di amore per gli altri, di amore per la vita e per la giustizia.

Padre Placido Cortese ci offre, ancora oggi, la possibilità di farci conoscere persone meravigliose come quella del capitano dei carabinieri Giuseppe Palumbo, che ora rivive nella memoria e nella voce del figlio Carlo che ci ha raccontato una storia che non deve essere dimenticata. A lui, in conclusione, rivolgiamo un’ultima domanda che riassume tutta la nostra chiacchierata e la risposta vale più di mille riflessioni. Chi è Padre Placido Cortese? 

Un uomo a cui devo la vita.

Paolo Damosso