Tra quanti beneficiarono della direzione spirituale di Padre Placido Cortese, nel primo periodo di ministero nella Basilica del Santo (1930-33) vi era il professor Aldo Martinolli, originario di Perugia e trasferitosi a Padova per svolgere il suo lavoro come assistente nell’università di Medicina, unito da un rapporto di fidanzamento con la giovane Maria Taticchi.
Poco prima delle nozze però la sua fidanzata decise di entrare in un monastero di clausura, provocando in lui grande turbamento e sconcerto; egli era infatti convinto che non si trattasse di libera decisione, ma del frutto di macchinazioni ordite per impedire il matrimonio, presumibilmente dai parenti di lei. Si consideri che i giovani erano fidanzati da circa undici anni e che le nozze erano state fissate per l’ottobre 1932; ma nell’aprile la giovane entrò in monastero. Il professor Martinolli cercò dunque il conforto e l’aiuto del Servo di Dio, oltre a ricorrere, attraverso varie lettere e ricorsi, alla Sacra Congregazione per i Religiosi.
Padre Placido si prestò a quella che considerava un’opera di carità, nonché un intervento necessario per dare un minimo di tranquillità al giovane, in serio pericolo di perdere la fede. Le motivazioni che ne ispirarono l’agire si trovano riflesse nella lettera da lui scritta alla Sacra Congregazione per i Religiosi il 4 ottobre 1932, nelle quale, tra l’altro, scrive:
«Fra le opere di misericordia spirituale ve ne sono due importanti: consigliare i dubbiosi e consolare gli afflitti. […] Non è facile consolare e ancora meno dare buoni consigli ad un’anima esacerbata sino all’estremo, che attende di giorno in giorno proprio da Roma – ove ha ricorso – una voce che gli dica: abbiamo pensato. Monsignore, le posso confessare candidamente che mai nell’esercizio del mio ministero in una Basilica come la nostra, ho trovato un’anima così equilibrata che misura con serietà le cose avvenute intorno a lui. Con fiducia aspetta perciò il responso della giustizia ed è certo che questo non tarderà a venire».
Nel seguito della sua lettera, il Servo di Dio manifestò la convinzione che la giovane stessa fosse stata raggirata, poiché le era stato fatto credere che il professor Martinolli amava qualche altra donna, ma si trattava di informazioni prive di un qualsiasi fondamento; da qui dunque la necessità di far sì che la stessa conoscesse la verità per poter decidere in maniera libera circa il proprio futuro.
È stata ritrovata la minuta di una lettera che Padre Placido scrisse direttamente al Cardinale Prefetto della S. Congregazione dei Religiosi, dalla quale emerge la motivazione di fondo che lo spinse ad interessarsi del caso: “Charitas Xti urget me”. Il celebre passo paolino (2Cor 5,14) viene applicato a se stesso ed esprime, in efficace sintesi, tutta la vita del Servo di Dio: “L’amore di Cristo mi possiede”. La sua vita, come quella dell’Apostolo delle genti, fu sostenuta e tenuta insieme dalla Charitas Christi, cioè dall’amore con il quale Cristo ha affrontato la morte per i suoi. È un amore che provoca l’oblazione di tutto se stesso. Non si tratta di un amore emozionale o passeggero, ma razionalmente fondato: il fatto che Gesù ha dato la sua vita in un’offerta amorosa per tutti.
Applicando a se stesso le parole di san Paolo, Padre Placido dà un carattere profetico alla sua esistenza sacerdotale: è un giovane frate, venticinquenne, sacerdote da poco più di due anni, che si prende a cuore, scrivendo ad una personalità ecclesiastica, la situazione di una persona fortemente turbata da un evento imprevisto:
Eminenza, l’umile fraticello che scrive ebbe la gioia di vedere V. Eminenza nel Collegio Serafico a S. Teodoro ai piedi del Palatino. E ancora si ricorda come V. Em. si trattenesse volentieri giovialmente col singolo giovane: Coi giovani V. Em. ringiovaniva. Quanta bontà, quanto interessamento per essi: non risparmiava a loro – pur fra tante occupazioni a bene della Chiesa e della scienza – il discorso in Cappella, che ancora ricordo!
L’obbedienza ora mi pose qui presso il Sepolcro del Santo a fare un po’m di bene a gloria di Dio.
È per far del bene che scrivo a V. Em.
Perdoni perciò – Em. – il mio ardire – il mio vivo (forse il troppo) interessamento per la cosa grave che brevemente cercherò di riassumere in questa umile mia. Eminenza soltanto Charitas Xti urget me.
Noi presi dalla paterna bontà di Dio entro una nave sicura passiamo tranquilli il gran diluvio ed il porto ci arride – se la buona volontà c’è – vicino.
Non così – Em. ad un secolare: più difficile ancora ad un Professore di alta Medicina che ha occasione di avvicinare gente d’ogni parte.
All’Em. V. deve essere noto un fatto grave svoltosi 6 mesi fa a Perugia: lo spezzamento d’un fidanzamento con la fuga della sposa promessa da 13 anni in un Monastero di Clarisse.
Essi sono il Prof. Aldo Martinolli e Maria Taticchi di nota famiglia perugina.
Al professore balenò nell’animo all’annuncio terribile svoltosi con la rapidità fulminea – in soli 3 giorni tutto fu stabilito – una congiura perché tre giorni prima Egli come sempre aveva ricevuta una lettera passionale – lettera d’un amore ancora ardente – ove si dice sempre sua.
… … …
Em. tutto questo che scrissi è perché desidero scongiurare tanti pericoli che all’animo esacerbato del Professore si presentano.
Il Professore che sperò e visse nel grembo della Chiesa dedicandole vita e pensiero, quando vide che non si venne incontro neppure con una parola – con una semplice riposta alle tante sue – pensò che neppure nel governo delle anime e delle coscienze esti vi fosse giustizia. Quanto male perciò ne può derivare alla Chiesa.
Em. pensi che a Padova vivono più di 3000 giovani e tanti di questi studenti di medicina! Mille dubbi gli si affacciano, mille incertezze lo preoccupano.
La mamma sua – che conosce e ama il figliuolo – lasciò Perugia e per 6 mesi e venne a trovar casa qui con due buone figliuole.
Venne appositamente a Padova perché il figliuolo suo non declinasse dalla retta via e prendesse tutto dalle mani del Signore. Fece tanto e appunto in questo tempo si sollecitarono i memoriali.
Nella partenza me lo affidò e allora qui veramente – nella delicata e grande consegna – sentii il senso della vera paternità spirituale. Dovevo io salvarlo e feci coll’aiuto di Dio soltanto il possibile ma (le mie parole sono come foglie al vento) inutili le mie parole se Roma non rispondeva neppure se i memoriali erano giunti: che le lettere erano state ricevute.
Pochi giorni addietro la mamma con una figlia ritorna a Padova per dire al figlio che la promessa sposa aveva vestito i veli di S. Chiara.
In questi giorni di terribili angosce (mentre stanno per cadere tutte le più pure speranze) – che la mamma con la sua presenza calma, immagini Em. cosa frulla in quella testa, – la mamma sua si rivolge a mezzo mio a V. E.
Per carità una buona parola di V. Em. quieterà quel male, ritornerà il sereno.
La famiglia pensò che V. E. non poté interessarsene della questione per le molteplici occupazioni a bene della Chiesa e che in Congr. per nulla si lessero i memoriali. Em. – il sottoscritto – ciò non può pensarlo.
Perciò a nome della mamma che passò tante ore di pena ho gettato giù a V. E. questa mia lamentela cortese.
Non altri motivi Em. ma soltanto il gran desiderio di portar un po’ di pace in due onestissime e onorabilissime famiglie e impedir che un’anima perda le vie del bene perché il male trionfante non si espanda.
Perdoni Em. se sono venuto a rubarle ore preziose.
Baciando la sacra Porpora si professa di V. E. Ill.ma e Rev.ma
umilissimo e devotissimo servo
fr. Placido Cortese o.f.m. conv.
della Basilica del Santo