Tra le testimonianze che hanno permesso, dopo cinquant’anni, di conoscere la sorte toccata a Padre Placido Cortese, catturato dalla polizia nazista l’8 ottobre 1944, è stata fondamentale la lettera della Signora Lapanje a Padre Fulgenzio Campello, del convento del Santo, dopo l’incontro con lui nella Chiesa di S. Francesco a Padova, in occasione della commemorazione del cinquantennale della Liberazione, il 19 aprile 1995. Preziosa la testimonianza della Signora Adele, che ha udito la voce sofferente di Padre Placido, prigioniero nel bunker della Gestapo di piazza Oberdan a Trieste.
Gorizia, 8 giugno 1995
Caro Padre Campello,
Le ripeto, in questa lettera, quanto le avevo già detto nell’incontro del 19 aprile scorso nella Chiesa di S. Francesco a Padova.
Nell’autunno del 1944 io ero prigioniera nelle carceri “Coroneo” di Trieste. Quando sono stata chiamata per l’interrogatorio, mi hanno portato nel palazzo cin cui c’era la sede delle SS tedesche. Questo palazzo, caratteristico per le arcate della facciata, si trova al limitare di una piazza [si tratta di piazza Oberdan], all’inizio della salita per andare al Coroneo. Preciso questo, perché, non essendo di Trieste, ho sempre pensato e detto già a Lei che ora lì ha sede il Municipio, che invece si trova in piazza Unità, sul lungomare.
Eravamo in quattro: io, la Maria Lazzari di Padova e due croati. Il più giovane di questi due era molto ciarliero e curioso. Nell’attesa ci portarono nello scantinato. Qui c’erano alcune celle: tre o quattro gabbiotti corti e stretti con una specie di feritoia sulla parte superiore. La signora Maria si è avvicinata alle celle chiedendo i nomi e così, in una, ho scoperto che c’era Padre Cortese. E la voce che proveniva da quel buco era un filo, stentato, pieno di sofferenza. Era sottoposto, disse, a torture giornaliere. Si capiva che era molto provato, quasi allo stremo. Però non rispose ad alcune domande dirette e poco prudenti della Maria.
Io non parlai con lui.
La mattina dopo, in carcere, mi hanno avvisato (confidenti i secondini italiani) che il giovane croato era una spia dei tedeschi e che si chiamava Mirko, che l’altro croato era un partigiano e che era stato fucilato la mattina stessa.
Una settimana circa dopo, sempre per mezzo del tam tam carcerario, sono stata informata che Padre Cortese era appena morto sotto tortura, senza che fossero riusciti a fargli dire i nomi dei suoi collaboratori.
Dovevano essere i primi giorni di novembre del 1944. Non ricordo le date, ma ricordo l’impressione generale per questa morte: un martire o un eroe, a seconda dei punti di vista.
Non so che cosa abbiano fatto del corpo: forse portato alla “Risiera di S. Sabba” tristemente nota a Trieste perché lì si eseguivano le fucilazioni e le cremazioni.
Caro Padre, Le ho ripetuto ciò di cui sono stata testimone e penso l’unica sopravvissuta.
La Maria è stata deportata in Germania e non ne è ritornata. Mio marito, allora mio fidanzato, anche lui prigioniero al Coroneo in quel periodo e che ha saputo subito, lui pure, della fine tremenda di padre Cortese, è morto nel 1981.
La saluto e grazie per la sua benedizione.
Lapanje Dainese Adele
Da aggiungere che la Signora Adele Lapanje, dimorante nel 1955 a Gorizia, poco lontano dall’Arcivescovado, su richiesta dell’Arcivescovo Padre Antonio Vitale Bommarco ha sottoscritto un’ulteriore dichiarazione:
Completamento della deposizione della Signora Adele Lapanje ved. Dainese
Nell’Arcivescovado di Gorizia il 23 ottobre 1995 la Signora Adele Lapanje ved. Dainese, nata a Visignano d’Istria il 18 febbraio 1921, chiarisce alcuni particolari sulla deposizione scritta al P. Campello l’8 giugno 1995, riguardo al suo arresto.
Il mio fidanzato, poi marito Angelo Dainese di Gorizia, studente di medicina a Padova, era stato prelevato dai Tedeschi mentre alloggiava in una casa in affitto in Via Solferino, presso la Fam. Lazzari, perché collaborava con P. Cortese.
Le sorelle Martini, Lidia, Renata e Teresa abitanti in Via Galilei, pure collaboravano con il P. Cortese per aiutare gli ebrei, i fuggitivi e gli stranieri. Io pure, studentessa, ero andata a casa del mio fidanzato e non avendolo trovato, perché prelevato e portato in carcere a Venezia, sono corsa a Venezia per sapere qualcosa di Lui, e lì mi hanno arrestata e trasferita subito a Trieste al “Coroneo” dove già si trovava il mio fidanzato.
Sono stata al “Coroneo” 15 giorni in isolamento e poi interrogata; ho passato altri 15 giorni insieme alle altre donne arrestate e poi sono stata liberata.
Il mio fidanzato era stato condannato a morte dopo sei mesi, ma mentre scaricava un carico di sacchi da un camion, scaraventò un sacco sul soldato tedesco che cadde a terra e così lui poté scappare e si salvò.
Tutto il resto corrisponde a quanto scritto al P. Campello e specialmente la mia precisa dichiarazione che il P. Cortese morì “sotto tortura senza che fossero riusciti a fargli dire i nomi dei suoi collaboratori”.
+ P. Antonio Vitale Bommarco – Arcivescovo
Lapanje Dainese Adele