Giugno Antoniano 2020: il fascino di una vocazione

Giugno Antoniano 2020: il fascino di una vocazione

Locandina del Giugno Antoniano 2020 – Sant’Antonio veste l’abito francescano, scultura di Antonio Minello (1512), Basilica del Santo – Cappella dell’Arca

Alla vigilia del mese dedicato a sant’Antonio di Padova si ricorda l’anniversario della sua canonizzazione, avvenuta a Spoleto il 30 maggio 1232. Papa Gregorio IX lo proclamò santo nella solennità di Pentecoste, quando non era ancora trascorso un anno dalla sua morte (13 giugno 1231). Il Santo che ha affascinato innumerevoli generazioni di credenti (anche tra i non cristiani), fu a sua volta affascinato dal carisma di Francesco d’Assisi, tanto da cambiare radicalmente la sua esistenza di canonico agostiniano. Fernando, come era stato chiamato al battesimo, restò talmente impressionato dal martirio dei primi frati minori inviati da san Francesco in missione tra i saraceni, che decise il non facile passaggio dalla tranquilla e agiata abbazia alla più austera vita francescana, con il desiderio di recarsi egli pure in missione e di trovarvi il martirio.

Questo avvenne nel 1220. Sono trascorsi otto secoli dalla Vocazione francescana di sant’Antonio e un anniversario così significativo, seguito da altri non meno importanti, meritava di essere ricordato.

E così, proprio il 30 maggio 2020, i frati del Santo hanno presentato ufficialmente il progetto “Antonio 20-22”, un triennio per ripercorrere tre grandi anniversari antoniani riguardanti: la vocazione francescana di Antonio (1220), il suo naufragio in Italia e il primo incontro con san Francesco (1221), il suo svelarsi al mondo come grande predicatore e santo (1222).

Antonio 20-22” è un’iniziativa dalle svariate sfaccettature, spirituali, culturali, religiose, esistenziali, percorrendo l’itinerario che condusse Antonio dal Portogallo, al Marocco, all’Italia, contribuendo a rendere attuale la figura del Santo per l’uomo contemporaneo. Quest’anno il Covid-19 ha in parte bloccato le iniziative in Portogallo e Marocco, ma nel 2021 si conta di realizzare l’intero programma di risalita dell’Italia, partendo in gennaio da Capo Milazzo in Sicilia, dove secondo la tradizione Antonio sbarcò. Attraversando Calabria, Basilicata, Campania e Lazio, fino all’Umbria, si arriverà ad Assisi il 30 maggio 2021, giusto 800 anni dopo il primo abbraccio tra san Francesco e sant’Antonio. Si riprenderà quindi il percorso a staffetta, lungo il “Cammino di sant’Antonio” che valica l’Appennino tosco-emiliano, per attraversare tutta l’Emilia e approdare infine a novembre in Veneto, a Padova, che sarà raggiunta anche dal Friuli, da Gemona, dove sorge il primo santuario dedicato a sant’Antonio.

Il logo del progetto “Antonio 20-22” unisce diversi elementi. San Francesco e sant’Antonio vengono accostati tra loro, non confusi perché ciascuno resta un irripetibile originale. A cominciare dai loro stessi nomi. E poi con due dei loro simboli più riconosciuti. Il tau, l’ultima lettera dell’alfabeto, con cui san Francesco amava firmare le proprie lettere; il bianco giglio, invece, per sant’Antonio, simbolo di sapienza e di purezza di cuore. I due simboli si «incontrano» a formarne uno nuovo, rimando anche all’incontro che realmente avvenne tra i due santi, alla fine di maggio 1221 in Assisi. Le due piccole figurine francescane, ai bordi dell’immagine, sono i due santi, ma rappresentano anche quanti ancora oggi camminano sulle loro orme.

Il nostro Servo di Dio Placido Cortese, affascinato fin da ragazzo dal carisma di san Francesco, ci ha lasciato una suggestiva narrazione della vocazione francescana di sant’Antonio, nella sua opera “S. Antonio di Padova, Vita e miracoli” (1940). Scrive Padre Placido:

S. Francesco d’Assisi che aveva mandato i suoi frati, come Gesù, su tutte le vie del mondo per annunciare la pace e il bene, non dimenticò gli infedeli. Perciò nel primo capitolo che si tenne alla Porziuncola aveva raccolto sei frati disposti a seguire con amore i suoi desideri. Dei sei uno s’ammalò prima di arrivare, gli altri cinque intrepidi si presentarono a Miramolino per annunciargli la verità della nostra fede.

Furono uccisi il 16 gennaio 1220 per le mani dello stesso Miramolino.

Un principe portoghese, Don Pedro, fratello di re Alfonso II, che era allora alla corte di Miramolino, aveva cercato ogni mezzo per liberare i frati ma non riuscì. Poté solamente raccogliere quei corpi martoriati e portarli in patria.

E vennero portati proprio a Coimbra, nella Chiesa di S. Croce dove Fernando cercava Dio nella preghiera e nella scienza.

La vista di quelle reliquie, il racconto del martirio, l’aureola di santità che avvolgeva tutti quelli che erano figli di Francesco d’Assisi lo fecero più pensoso. Un’altra via, più luminosa, gli si apriva davanti. Una voce gli diceva che poteva egli pure vivere in povertà e in umiltà come quei veri cinque minori e attendere la palma del martirio.

Troviamo molto presto i francescani in Portogallo; nel 1227 la sorella del re, la Principessa Sancha, aveva loro donato una piccola casa ad Alenquer; non molto dopo la regina Uraca aveva loro offerto, a un miglio da Coimbra, un altro conventino chiamato, dagli oliveti che lo circondavano, S. Antonio di Olivares.

I frati del piccolo convento scendevano ogni tanto in città e bussavano pure alle porte della ricca abbazia. Fernando era portinaio e poteva cosi fermarsi a ragionare con quei poveri semplici seguaci del Padre Serafico e apprendere da essi che per andare missionario e morire per Cristo non c’erano ostacoli. Qualunque poteva chiedere questa grazia ai Superiori.

L’esempio dei Protomartiri lo aveva illuminato: aveva compreso che il martirio era la più grande testimonianza d’amore, che la vita data per Cristo era il più ambito privilegio che la creatura potesse desiderare.

Ma ci voleva il consenso del Superiore che non sarebbe stato così facilmente persuaso a perdere il più prezioso ornamento del monastero. Era a tutti noto che al solo tocco della veste di Fernando il maligno aveva abbandonato un vecchio confratello; si diceva pure che impossibilitato di essere in chiesa al momento dell’elevazione le mura s’erano aperte ed egli aveva adorato il Signore.

Perciò la famiglia agostiniana a malincuore diede il necessario consenso; e non reca meraviglia se uno, nell’abbraccio d’addio, abbia mormorato: «Va’ va’, che diventerai santo». E Fernando umilmente gli rispose: «Quando tu saprai ch’io sono santo, tu loderai il Signore».

Vennero da Olivares gli umili fraticelli con l’abito nuovo che Fernando indossò con gioia deponendo la bianca tonaca. Da questo giorno egli non sarà più Fernando dei Buglioni, ricco e dotto, ma Antonio dei minori, povero e umile. Anch’egli come Francesco si scalza per correre dietro alla sposa che ha conquistato il cuore dei nuovi cavalieri di Cristo.

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