Padre Placido, che nel corso della sua vita sempre si adoperò per soccorrere chi era nell’afflizione, offre una bella riflessione sull’opera di misericordia della consolazione degli afflitti. In questo articolo ci fa anche intuire quali furono le sorgenti segrete alle quali egli stesso attinse nell’ora terribile della prova, della sua “passione”: la brutale tortura e la morte.
Una delle opere più belle della cristiana carità è quella di consolare chi soffre.
S. Paolo lo raccomandava tanti ai cristiani con espressioni meravigliose: ai Romani «piangete con chi piange»; ai Tessalonicesi «consolatevi gli uni gli altri».
Solo con la fraterna partecipazione al pianto e con le sublimi parole della fede noi porteremo il vero sollievo alle anime colpite dalla sofferenza.
Ma quali sono queste parole?
La prima, e certo la più consolante, è quella di ricordarci d’essere qui pellegrini verso una patria migliore. E in conseguenza chi viaggia con questo ardente desiderio di raggiungere il termine non fermerà gli occhi sulle terrene e caduche bellezze ma aspetterà le eterne.
E allora tutti i dolori, tutti i dispiaceri che torturano l’animo dei mortali, alla luce del premio ineffabile, non saranno più insopportabili ma potranno essere accettati con grande pace.
Non si offenderà più Dio, né si imprecherà ai suoi attributi ma in umiltà si loderanno i mirabili suoi disegni nel governo degli uomini.
Si troveranno allora sulla stessa irta via del dolore le impronte sanguinanti dell’Uomo-Dio, Cristo Gesù. Il mistero della Croce è dato conoscerlo, pienamente, solo a quelle anime che sanno amare il dolore.
Ma poi non siamo noi figli di Adamo, peccatori sino dalla nascita?
Il Signore buono, morendo per noi sulla Croce distrusse il peccato – cancellò il chirografo di morte – ma non tolse le pene, i disagi, le preoccupazioni della vita, frutti del peccato del primo padre.
Pensiamo che sopra tutte le miserie della vita c’è l’amore d’un Dio crocefisso e morto per noi.
Il Cristo innalzato sul legno dell’ignominia umana richiami i nostri sguardi e a Lui come il labro buono chiediamo che ci salvi: Ricordati di me nel regno tuo!
frate Placido