Padre Placido Cortese e San Leopoldo Mandić sono contemporanei e hanno avuto modo di conoscersi.
Lo si capisce dai documenti che sono stati ritrovati e che fanno memoria di un rapporto di grande fiducia e di stima reciproca.
In comune hanno anche le origini dalmate e caratteristiche fisiche che evidenziano una fragilità non corrispondente al coraggio e alla profondità della loro ispirazione e della loro fede.
Padre Placido è di corporatura esile e con un difetto nella deambulazione che lo rende claudicante.
Padre Leopoldo è molto piccolo di statura e con un difetto labiale che si evidenzia con chiarezza quando parla.
Due “antieroi” nell’aspetto, ma due “giganti” nell’esempio che hanno donato a tutti coloro che hanno avuto modo d’incontrare.
Non stupisce, di conseguenza, il fatto che dal convento cappuccino di Padova alla Basilica del Santo ci possa essere stata una relazione amichevole tra i due.
A testimonianza di questo ci sono rimasti due biglietti scritti a mano da padre Leopoldo, indirizzati a padre Placido.
Ecco il testo del secondo biglietto
Reverendissimo Padre, il porgitore del presente |
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I due biglietti sono scritti da San Leopoldo per chiedergli d’interessarsi a due persone. Sono entrambi senza data e collocabili nell’arco di tempo che va dal 1938 al 1942, quando padre Placido è direttore del Messaggero di sant’Antonio e il futuro santo cappuccino è confessore ordinario della comunità della basilica del Santo.
Da sottolineare l’espressione finale del secondo biglietto: “Si degni benedirmi” che evidenzia la profonda stima di padre Leopoldo verso padre Placido e che potrebbe rivelare l’intuizione profetica del cappuccino nei confronti di questo giovane che avrà una sorte di martirio causata da un cuore totalmente offerto alla Carità per il prossimo.
In corrispondenza, padre Placido, a seguito della morte di padre Leopoldo, scrive per il Messaggero un ricordo particolarmente intenso e partecipato.
Nel 1942 padre Cortese era ancora direttore della rivista della basilica del Santo, e nel numero di settembre, scrive un bel editoriale intitolato “Intorno al Padre Leopoldo”.
Queste sono le sue parole:
La notizia che Padre Leopoldo, l’umile e santo Cappuccino di S. Croce, s’è spento placidamente la mattina del 30 luglio, ha destato non solo in città ma anche fuori vasta eco di cordoglio perché la fama di questo piccolo uomo è da molti anni un fatto largamente accertato.
E non è solo la buona, povera gente che cercava o trovava in lui il consolatore, ma anche i dotti e i fortunati nel possesso di beni terreni volevano sentire la sua parola che era sempre richiamo all’amore dei beni eterni.
Abbiamo detto piccolo uomo perché nulla di esteriore nella sua persona ma soltanto i segni della mortificazione esercitata in lunghi anni di vita religiosa esemplarmente vissuta. Ma in quel po’ di corpo c’era un cuore grande e un’anima bellissima. Bastava avvicinarlo una sola volta e vi si ritornava ancora perché egli aveva il dono di parlarci di Dio e di richiamarci al bene. Autentico francescano, egli aveva compreso il programma del «serafico in ardore» ardendo per le anime nella costante e paziente ricerca della loro salvezza eterna. Il bene che egli fece non è facile conoscerlo perché fatto in umiltà, in una piccola celluzza, ma ci fu rivelato nell’andare e venire di popolo alla sua
bara, nella preghiera raccolta e devota davanti alla sua salma.
È così bella e simpatica questa testimonianza al Padre Leopoldo che nulla ebbe dagli uomini in vita, che nulla voleva da essi, ma solo donava tesori di carità e sapienza.
Questo piccolo dalmata dagli occhi vivi e penetranti, che rivelavano un’intelligenza superiore, non è più ma resterà ancora e a lungo sulla terra nel ricordo di tante anime che lo ebbero padre e maestro.
Lo abbiamo ricordato in queste pagine non solo perché fu per alcuni anni confessore ordinario del convento ma anche perché egli amava il Santo e nostro e suo confratello. Ogni anno poi, nella festa di S. Leopoldo, veniva a celebrare in Basilica. P. Cortese[1]
[1] Messaggero di sant’Antonio, Settembre 1942.
Chi è San Leopoldo Mandić
Bogdan (Adeodato) Giovanni nasce il 12 maggio 1866 a Herzeg Novi (Castelnuovo) in Dalmazia. A sedici anni entra nel seminario dei Cappuccini di Udine. Il 2 maggio 1884 indossa il saio nel noviziato di Bassano del Grappa (Vicenza) assumendo il nome di fra’ Leopoldo.
Il 18 giugno 1887 sente per la prima volta la voce di Dio che lo chiama a promuovere il ritorno dei cristiani orientali separati nella Chiesa di Roma. Emette la professione solenne a Padova nel 1888. A Venezia il 20 settembre 1890 viene consacrato sacerdote.
Piccolo di statura, è alto un metro e quaranta, curvo, con l’artrite alle mani e difficoltà nel parlare, è tra i pionieri dell’ecumenismo e un gigante del confessionale. Voleva andare in Oriente per corrispondere alla voce di Dio e per due volte, quando lo mandano a Zara e a Capodistria, crede di poter assecondare il suo sogno. Ma il Signore aveva preparato per lui un campo missionario più esteso delle terre d’Oriente. Richiamato in Italia, dal 25 aprile del 1909 fino alla morte è confessore nel convento di Padova.
Durante la guerra del 1915-18, essendo cittadino dell’impero asburgico, allora in guerra contro l’Italia, dovette trasferirsi esule volontario nei conventi di Tora (Caserta), Nola (Napoli) e Arienzo (Caserta). Nel 1923, dopo che l’Istria e il Quarnaro furono annessi all’Italia, padre Leopoldo fu destinato come confessore a Zara.
Sembrava che la missione in Oriente stesse per realizzarsi, ma la sua partenza aveva inquietato una folla di penitenti che chiesero al vescovo di Padova, mons. Elia Dalla Costa, di far richiamare il piccolo frate.
Padre Leopoldo passerà trentatré anni crocefisso in una celletta di due metri per tre del convento dei Cappuccini di Padova dispensando, fino a dodici ore al giorno, la misericordia di Dio alle anime dei penitenti. Il suo Oriente divenne così ogni anima che andava a chiedere il suo aiuto spirituale. Lo capisce anche lui che finirà per dire: «Il mio Oriente è qui, è Padova».
Alla fine del 1940 la sua salute va peggiorando. Nell’aprile del 1942, ricoverato in ospedale, gli riscontrano un tumore all’esofago. Rientrato in convento continua a confessare fino al mattino del 30 luglio quando muore, dopo aver tentato di vestirsi per celebrare la Santa Messa.
La celletta-confessionale di san Leopoldo Mandić, il 14 maggio 1944, due anni dopo la sua morte, fu risparmiata da un’incursione aerea degli alleati anglo-americani così come lo stesso santo aveva predetto: «La chiesa e il convento saranno colpiti dalle bombe, ma non questa celletta. Qui Dio ha usato tanta misericordia alle anime: deve restare a monumento della sua bontà».
Il 2 maggio 1976, a trentaquattro anni soltanto dalla morte, Paolo VI dichiarava padre Leopoldo “beato” e il 16 ottobre 1983 Giovanni Paolo II lo inseriva nell’albo dei santi.
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