La dimora di Antonio nel piccolo solitario convento è breve ma importante per conoscere l’intimo della sua vita. Qui egli impara e pratica la virtù dell’umiltà cosi disprezzata dal mondo. Questi suoi confratelli non cercavano altro che Dio, non avevano nessun desiderio di essere conosciuti dal mondo. Nell’esercizio della preghiera e della carità costituivano, essi semplici e poveri, il più alto fondamento di santità. Perciò nessun rimpianto per la vita abbandonata ma maggior desiderio di percorrere nel più breve spazio tutta la via francescana sino al martirio, sete e corona delle anime grandi.
Sul finire dell’autunno del 1220 egli salpa, insieme a suo confratello, per il Marocco pronto alla grande prova. Con il sangue egli vuole confessare le mirabili verità della fede.
Non era però questa la volontà del cielo.
La terra d’Africa per tutto quell’inverno, con la malaria, prostra e umilia quel corpo, già scosso dalle veglie e dai digiuni, e lo obbliga al ritorno. Forse questa è la più dura prova mandatagli dal Signore che voleva sapere se Antonio aveva rinunciato a se stesso e alla sua volontà.
Fu trovato pronto.